Ha forma per lo più rotondeggiante e dimensioni variabili da una nocciola a una grossa patata; il peso può superare il chilogrammo. Come dice il suo nome scientifico, Tuber Melanosporum, cioè “a spore nere”, ha la scorza nera rugosa con verruche minute e la polpa nera-violacea, con venature bianche fini che diventano rosseggianti all'aria e nere con la cottura.
Emana un profumo delicato e gradevole che lo rende particolarmente apprezzato.
Il sapore è delizioso, tanto che gli è valso l'appellativo di “tartufo nero dolce”. Si consuma preferibilmente dopo una breve cottura, ma è ottimo anche crudo. Viene generalmente utilizzato in piatti piuttosto elaborati, nei timballi, per farcire la cacciagione e per la preparazione di conserve, salse, tartine, frittate.
Matura durante tutto il periodo invernale e soprattutto nei primi
mesi dell'anno e cresce a contatto con varie querce (roverella,
leccio, rovere), il carpino nero e il nocciolo. La sua presenza può
essere rilevata con facilità anche dall'esterno, poiché emette
delle sostanze che rendono l'area attorno al fusto dell'albero priva
di vegetazione.
I terreni più indicati per questo tipo di tartufo sono quelli
posizionati al di sotto dei mille metri di quota, aerati, illuminati
e senza ristagni d'acqua. Il periodo di raccolta va dal 15 novembre
al 15 marzo. La ricerca viene effettuata con l'ausilio di cani
addestrati. Secondo alcuni tartufai professionisti, gli esemplari
raccolti in alcune aree dei boschi sul monte Nerone hanno un gusto e
un aroma del tutto particolare. Il tartufo nero è sempre stato
oggetto di intensa raccolta sia in Italia che nel sud della Francia.
Nel 1564 ci fu il primo tentativo di coltivazione ad opera di
Ciccarello di Bevagna, autore del "De Tuberibus" , convinto
che ogni cosa prodotta dal terreno potesse essere coltivabile. Oggi
il sogno che non riuscì a Ciccarello è stato realizzato dalla
moderne tecniche agronomiche, che hanno reso possibile la
coltivazione del tartufo nero. La sua riproduzione, tramite
micorrizzazione dell'apparato radicale di alcune specie arboree, ha
avuto inizio con successo in Francia già all'inizio del 1800.
Il tartufo è parte integrante della cultura e della tradizione
culinaria delle Marche e uno dei prodotti tipici italiani più
rinomati e apprezzati nel mondo, tanto da essere messo ai primi posti
tra le produzioni nostrane da valorizzare e tutelare. Risorsa
preziosa, viene salvaguardato da norme precise che servono a
proteggere la vita del suo delicato ecosistema.
La legge italiana
definisce con estrema chiarezza e precisione le regole che
caratterizzano la raccolta del tartufo, asserendo che deve essere
condotta solo con l'ausilio di cani addestrati allo scopo mentre lo
scavo deve avvenire mediante l'utilizzo di un apposito attrezzo,
chiamato vanghetto o vanghella, esclusivamente nell'area in cui è
stato individuato.
La legge lascia campo libero sulla scelta dell'animale da
impiegare per la ricerca del tartufo, anche se la razza italiana
patentata è il lagotto romagnolo, riconosciuto ufficialmente il 15
Ottobre 1991 dall'Ente Nazionale della Cinofilia Italiana come
tredicesima razza italiana e denominato “cane da tartufi”. Oltre
al lagotto, le altre razze italiane indicate per la ricerca del
pregiato tubero sono il bracco e soprattutto lo spinone, il più
usato, con naso sensibilissimo, ubbidiente e resistente.
Tra quelle straniere, ricordiamo il pointer, dal fiuto finissimo,
veloce, instancabile e di facile addestramento, lo springer spaniel
inglese e l'epagneul breton, di buon fiuto e resistente alla fatica e
alle intemperie.